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venerdì 4 luglio 2008

Beppe Grillo: 8 Luglio ore 18 piazza Navona




8 Luglio ore 18.00 Piazza Navona

Beh mi sento in dovere di girare le informazioni sulla manifestazione dell'8
Luglio e sotto metto un articoletto preso dal blog Voglio Scendere, che spiega
ulteriormente cosa sta accadendo. Inoltre che chiunque voglia leggeregli
interventi del Lunedi di Marco Travaglio sul blog di Grillo, al link http://www.
beppegrillo.it/iniziative/passaparola/

Indipendentente dal vostro colore politico quello che e' in ballo e' la liberta'!

....


Appello alla partecipazione:
Roma, 8 luglio, manifestazione in piazza Navona. Passaparola!
Colombo, Pardi, Flores d'Arcais: tutti in piazza contro le leggi-canaglia

Care concittadine e cari concittadini,
il
governo Berlusconi sta facendo approvare una raffica di leggi-canaglia
con cui distruggere il giornalismo, il diritto di cronaca e
l'architrave della convivenza civile, la legge uguale per tutti.

Questo
attacco senza precedenti ai principi della Costituzione impone a ogni
democratico il dovere di scendere in piazza subito, prima che il vulnus
alle istituzioni repubblicane diventi irreversibile.

Poiché il
maggior partito di opposizione ancora non ha ottemperato al mandato
degli elettori, tocca a noi cittadini auto-organizzarci. Contro
le leggi-canaglia, in difesa del libero giornalismo e della legge
eguale per tutti, ci diamo appuntamento a Roma l'8 luglio in piazza
Navona alle 18, per testimoniare con la nostra opposizione morale,
prima ancora che politica la nostra fedeltà alla Costituzione
repubblicana nata dai valori della Resistenza antifascista.

Vi chiediamo l'impegno a farvi leader, a mobilitare fin da oggi, con mail,
telefonate, blog, tutti i democratici.   La televisione di regime, ormai
unificata e asservita, opererà la censura del silenzio.

I mass-media di questa manifestazione siete solo voi.

On Furio Colombo
Sen. Francesco Pardi
Paolo Flores D'Arcais


Preso da Voglio Scendere Blog, link: http://voglioscendere.ilcannocchiale.it/?
id_blogdoc=1959308


Dunque ci siamo. Mentre in parlamento si va a passi veloci verso
l'approvazione del decreto che bloccherà 100.000 processi pur di sospendere
quello in corso a Milano contro Silvio Berlusconi e l'avvocato inglese David
Mills, il governo ne sta per presentare un secondo. Questa volta la scure
colpisce sia la stampa che la magistratura:
non si potrà più pubblicare, nemmeno per riassunto, nessun atto
giudiziario e gli investigatori, in decine e decine di casi, non
potranno più raccogliere prove con le intercettazioni.

Anche questo decreto legge ha un unico scopo: evitare che i cittadini
conoscano i comportamenti del premier e di una parte della classe dirigente che
siede in parlamento.
Ai sedicenti liberali che occupano la Camera, il Senato e i vertici di
molte Istituzioni, vale la pena di ricordare che cosa accadde negli Stati
Uniti quasi mezzo secolo fa.

Nel 1967 il ministro della Difesa, Robert S. McNamara, ordinò un'indagine
passata alla Storia come i "Pentagon Papers". Lo studio, coperto da segreto di
Stato, doveva stabilire in che modo e perché gli Usa si erano impegnati nella
disastrosa guerra del Vietnam.
La ricostruzione dimostrò, tra l'altro, che il celebre incidente del
Golfo del Tonchino in seguito al quale il presidente  Lyndon Johnson si
appellò al Congresso e fu di fatto autorizzato ad entrare in guerra, era un
falso.

Quattro anni dopo un analista della Cia, sconvolto da quanto scoperto,
consegnò a due giornali i Pentagon Papers. Il 13 giugno 1971 il New York
Times,
iniziò la pubblicazione di una serie di articoli basati su quei
documenti. Dopo le prime tre puntate, il ministero della giustizia
riuscì a far sospendere le pubblicazioni da una sentenza della Corte
federale di New York a cui il governo si era rivolto sostenendo che
«gli interessi degli Stati Uniti e la sicurezza nazionale avrebbero
subito un danno irreparabile dalla diffusione del dossier».

Il 30 giugno 1971, la Corte Suprema degli Stati Uniti autorizzò però i
giornali (al New York Times si era affiancato il Washington Post) a riprendere
la pubblicazione. Sulla base del primo emendamento della costituzione
americana
i giudici stabilirono che la libertà di stampa doveva prevalere «su
qualsiasi considerazione accessoria intesa a bloccare la pubblicazione
delle notizie».

La sentenza fu scritta da un vecchissimo e celebre costituzionalista, il
giudice Hugo Black,
morto a 85 anni pochi mesi dopo. Black scrive: «Oggi per la prima volta
nei 192 anni trascorsi dalla fondazione della repubblica viene chiesto
ai tribunali federali di affermare che il Primo emendamento significa
che il governo può impedire la pubblicazione di notizie di vitale
importanza per il popolo di questo Paese. La stampa (dal punto di vista dei
Padri fondatori) deve servire ai governati non ai governanti.
Il potere del governo di censurare la stampa è stato abolito perché la
stampa rimanesse per sempre libera di censurare il governo».

Oggi anche nel nostro paese la libertà è in pericolo. Ciascuno di noi ha il
dovere di difenderla. In attesa che un Hugo Black, se esiste, ricordi a tutti
come stanno le cose.


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